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Maria Chiara Virgili | Dannati Architetti Podcast

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Maria Chiara Virgili

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🏛 Archi Writer, Author & Voice 🎙Dannati Architetti | Spotify ✍️ Contributor | Living Corriere 📖 Instant Architettura Contemporanea | Gribaudo Editore

🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
.
Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
.
Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture.
.
CC Images via Flickr
:
#anttilovag #blobitecture #blob #palaisbulles #bulles #bolle #architetturaorganica #organicarchitecture #storiadellarchitettura #costaazzurra #architettiitaliani #archilovers #archistar #archistudent #dannatiarchitetti

🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture.
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CC Images via Flickr
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#anttilovag #blobitecture #blob #palaisbulles #bulles #bolle #architetturaorganica #organicarchitecture #storiadellarchitettura #costaazzurra #architettiitaliani #archilovers #archistar #archistudent #dannatiarchitetti

🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture.
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🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture.
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🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture.
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture.
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🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧
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Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016.
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🫧 “L'architettura non mi interessa. È l'umanità, lo spazio umano che mi interessa, creare involucri attorno ai bisogni umani. Lavoro come un sarto: costruisco involucri su misura, involucri che possono essere rimodellati a piacimento” 🫧 . Antti Lovag (1920 - 2014), architetto ungherese naturalizzato francese, frequentò i corsi di architettura navale a Stoccolma prima di proseguire gli studi all'École des Beaux-Arts a Parigi, città in cui si trasferì nel 1947 e dove conobbe Jean Prouvé. Lovag non si considerava un architetto ma un “habitologist” e insieme agli architetti Pascal Haüsermann, Jean-Louis Chanéac e Jacques Couëlle iniziò a sperimentare l’architettura organica. Ispirandosi alle forme della natura realizzò abitazioni e arredi in armonia con la morfologia umana: la prima fu la Maison Bulles a Tourrettes-sur-Loup (1969) per Antoine Gaudet, seguita nel 1970 dalla Maison Bernard a Port-La-Galère, per l'industriale Pierre Bernard; per quest’ultimo committente realizzò tra il 1975 e il 1984, sulla stessa falsa riga, il suo edifico più famoso: l’avveniristico Palais Bulles a Théoule-sur-Mer. La proprietà venne acquistata nel 1992 dallo stilista Pierre Cardin, autore del Bubble Dress (1953), e fu sede di eventi e sfilate tra cui quella di Dior nel 2016. . Insieme a Frederick Kiesler, che però non riuscì mai a trasformare in costruzioni i suoi prototipi, Antti Lovag fu uno dei precursori della Blob Architecture. . CC Images via Flickr : #anttilovag #blobitecture #blob #palaisbulles #bulles #bolle #architetturaorganica #organicarchitecture #storiadellarchitettura #costaazzurra #architettiitaliani #archilovers #archistar #archistudent #dannatiarchitetti

3 settimane fa

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1/9

Annunzio Lagomarsini (1932 - 2018), inventore per passione e proprietario di un’impresa edile in pensione, impiegò 7 anni per realizzare il sogno di una vita … desiderava una casa impossibile, un luogo da cui poter scorgere il mare e con cui poter seguire il sole. Decise di esaudirlo da solo, senza l’aiuto di nessuno se non del suo genio e della sua immaginazione. Lavorò a questo assurdo progetto dal 1987 al 1994, adoperò materiali riciclati provenienti da cantieri edili e navali, industrie meccaniche e discariche … e alla fine ci riuscì: costruì una casa di 110mq su due piani con alla base una struttura levitante a forbice, composta da leve e contrappesi mossi da cilindri idraulici.
.
Questa piattaforma metallica era in grado di sollevare per 22 metri l’abitazione (quel che bastava per vedere il mare dalla sua proprietà a Castelnuovo Magra - SP), farla ruotare di 360º affinché seguisse il sole (impiegava 45 minuti per compiere un giro completo), scorrere per 12 metri su appositi binari e persino inclinare. Inoltre, era dotata di luce, gas, acqua corrente … di ogni comfort. Insomma, anche se la casa fu denunciata come abuso, e l’ingiunzione di demolizione poi archiviata … ✔️Mission accomplished !!
.
Annunzio e sua moglie Emilia vissero a mezz’aria per 13 anni, poi un giorno un ingranaggio si ruppe. Sebbene la casa volante sia rimasta bloccata in posizione di riposo, la sua storia continua a fare ancora oggi il “giro” del mondo.
.
Foto via raccordi.blogspot.com
#dannatiarchitetti #casavolante #laspezia #architettiitaliani #dimore #casestrane #strangerhouse #cosestrane #strangerthings #storiadellarchitettura #archistories #storiedaraccontare #archistudent #curiosity #archilovers #ingegneriaedintorni

@dannatiarchitettipodcast

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Annunzio Lagomarsini (1932 - 2018), inventore per passione e proprietario di un’impresa edile in pensione, impiegò 7 anni per realizzare il sogno di una vita … desiderava una casa impossibile, un luogo da cui poter scorgere il mare e con cui poter seguire il sole. Decise di esaudirlo da solo, senza l’aiuto di nessuno se non del suo genio e della sua immaginazione. Lavorò a questo assurdo progetto dal 1987 al 1994, adoperò materiali riciclati provenienti da cantieri edili e navali, industrie meccaniche e discariche … e alla fine ci riuscì: costruì una casa di 110mq su due piani con alla base una struttura levitante a forbice, composta da leve e contrappesi mossi da cilindri idraulici. . Questa piattaforma metallica era in grado di sollevare per 22 metri l’abitazione (quel che bastava per vedere il mare dalla sua proprietà a Castelnuovo Magra - SP), farla ruotare di 360º affinché seguisse il sole (impiegava 45 minuti per compiere un giro completo), scorrere per 12 metri su appositi binari e persino inclinare. Inoltre, era dotata di luce, gas, acqua corrente … di ogni comfort. Insomma, anche se la casa fu denunciata come abuso, e l’ingiunzione di demolizione poi archiviata … ✔️Mission accomplished !! . Annunzio e sua moglie Emilia vissero a mezz’aria per 13 anni, poi un giorno un ingranaggio si ruppe. Sebbene la casa volante sia rimasta bloccata in posizione di riposo, la sua storia continua a fare ancora oggi il “giro” del mondo. . Foto via raccordi.blogspot.com #dannatiarchitetti #casavolante #laspezia #architettiitaliani #dimore #casestrane #strangerhouse #cosestrane #strangerthings #storiadellarchitettura #archistories #storiedaraccontare #archistudent #curiosity #archilovers #ingegneriaedintorni

3 settimane fa

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2/9

Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole.
.
Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi).
.
Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare.
.
Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min.
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L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova.
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Foto via hiddenarchitecture.net

Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole.
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Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi).
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Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare.
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Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min.
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L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova.
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Foto via hiddenarchitecture.net

Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole.
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Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi).
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Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare.
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Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min.
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L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova.
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Foto via hiddenarchitecture.net

Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole.
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Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi).
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Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare.
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Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min.
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L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova.
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Foto via hiddenarchitecture.net

Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole.
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Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi).
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Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare.
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Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min.
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L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova.
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Foto via hiddenarchitecture.net

Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole.
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Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi).
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Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare.
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Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min.
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L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova.
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Costruita tra il 1929 e il 1935 a Marcellise (VR) dall’arch. Ettore Fagiuoli e dall’ing. Angelo Invernizzi, che ne fu committente e primo proprietario, la Villa Girasole fu la prima «casa rotante» realizzata in Italia. L’abitazione in stile razionalista era dotata di un sofisticato meccanismo a scorrimento su rotaie che le permetteva di ruotare su se stessa e seguire il sole. . Affascinato dall'utopia futurista, che fondava i suoi principi sul concetto di movimento e sulla tecnologia, Invernizzi progettò la casa rotante anche in ottica di riduzione dei consumi energetici e per sfruttare le proprietà benefiche dell'elioterapia (la moglie Lina soffriva di tisi). . Il basamento di 44 m di diametro, parzialmente interrato, offre l’appoggio al corpo rotante; l’ascensore interno collega tutti i 6 piani e giunge alla terrazza superiore, dove si trova una torretta in vetrocemento che, insieme all’arredamento in stile déco-nautico, rende omaggio al faro di Genova, città dove Invernizzi visse molti anni. Un sistema di pannelli in Eraclit, una mescola di legno e magnesite introdotta nel 1925, garantiva leggerezza e isolamento a buona parte della facciata; una porzione era inoltre rivestita con lastre di Alluman, lega di alluminio che rendeva l’edifico ancor più moderno e capace di amplificare l'irraggiamento solare. . Il vano scale, le cui rampe elicoidali si avvolgono introno all’ascensore lasciato a vista, costituiscono un modulo giroscala di forma cilindrica che fa da perno di rotazione; questo asse poggia a sua volta su una ralla in acciaio fissata in fondazione. La rotazione era affidata a un sistema di 15 carrelli con ruote ferroviarie, di cui 2 dotati di un propulsore diesel da 1,5 CV, che percorrevano un anello costituito da tre rotaie in acciaio. Il meccanismo consentiva alla villa di ruotare su se stessa in entrambi i sensi a una velocità di 4 mm/s, compiendo un giro completo in 9 ore e 20 min. . L'autore del sistema rotante, nonché di quello domotico che permetteva di azionare elettricamente le tapparelle, fu l’ing. meccanico Romolo Carapacchi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Verrina di Genova. . Foto via hiddenarchitecture.net

4 settimane fa

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3/9

L’ultimo Moretti, le collaborazioni e l’ex ENPDEP di via Morgagni a Roma👇
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Le sperimentazioni con le superfici curve in cemento armato, spesso sintetizzate nel cilindro irregolare a sbalzo o con elementi plastici dal carattere prettamente strutturalista, sono il leitmotiv della fase finale di Luigi Moretti.
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Pensiamo al coronamento del complesso per uffici di piazzale Flaminio (Roma, 1972), ai morbidi prospetti della palazzina San Maurizio (Roma, 1962), al ponte Pietro Nenni (Roma, 1969-1972), al complesso delle Terme Bonifacio VIII (Fiuggi, 1963-1969), quest’ultimo famoso per l’estrema potenza espressiva e brutalista di alcuni elementi (fra cui il pilastro a fungo all’ingresso e le pensiline aggettanti) …
.
Molte di queste opere sono frutto della preziosa collaborazione con Silvano Zorzi, ingegnere capofila, insieme a Riccardo Morandi, della scuola italiana del precompresso. Non fa eccezione la palazzina oggetto di questo post, la sede dell’ENPDEP in via Morgagni a Roma, anch’essa appartenente alle interessanti variazioni sul tema delle strutture complesse in cemento armato.
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Risalente al 1964 e riconoscibile per l’avveniristica soluzione strutturale a sospensione, ossia quattro pilastri in cemento armato aggettanti che sostengono tutti i piani sottostanti, l’edificio spicca anche per la sua particolare cancellata in ferro. Si tratta di un’opera della scultrice americana Claire Falkenstein, collaboratrice artistica di lunga durata di Moretti e che l’architetto conobbe attraverso il critico d’arte Michel Tapié ai tempi della galleria “Spazio”.
.
Oltre ai cancelli della sede ENPDEP e della villa La Saracena, residenza che anticipa le linee sinuose dell’ultima fase morettiana, l’artista realizzò anche una scultura organica per il sopracitato complesso di edifici in Piazzale Flaminio, ultima opera romana dell’architetto.
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Conoscevate questo edificio? Sapevate fosse di Moretti?
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Foto Archidiap #luigimoretti #dannatiarchitetti #architettiitaliani #storiadellarchitettura #romamoderna #architetturamoderna #architetturacontemporanea #archilover #archistudent #roma #archistorie

L’ultimo Moretti, le collaborazioni e l’ex ENPDEP di via Morgagni a Roma👇
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Le sperimentazioni con le superfici curve in cemento armato, spesso sintetizzate nel cilindro irregolare a sbalzo o con elementi plastici dal carattere prettamente strutturalista, sono il leitmotiv della fase finale di Luigi Moretti.
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Pensiamo al coronamento del complesso per uffici di piazzale Flaminio (Roma, 1972), ai morbidi prospetti della palazzina San Maurizio (Roma, 1962), al ponte Pietro Nenni (Roma, 1969-1972), al complesso delle Terme Bonifacio VIII (Fiuggi, 1963-1969), quest’ultimo famoso per l’estrema potenza espressiva e brutalista di alcuni elementi (fra cui il pilastro a fungo all’ingresso e le pensiline aggettanti) …
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Molte di queste opere sono frutto della preziosa collaborazione con Silvano Zorzi, ingegnere capofila, insieme a Riccardo Morandi, della scuola italiana del precompresso. Non fa eccezione la palazzina oggetto di questo post, la sede dell’ENPDEP in via Morgagni a Roma, anch’essa appartenente alle interessanti variazioni sul tema delle strutture complesse in cemento armato.
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Risalente al 1964 e riconoscibile per l’avveniristica soluzione strutturale a sospensione, ossia quattro pilastri in cemento armato aggettanti che sostengono tutti i piani sottostanti, l’edificio spicca anche per la sua particolare cancellata in ferro. Si tratta di un’opera della scultrice americana Claire Falkenstein, collaboratrice artistica di lunga durata di Moretti e che l’architetto conobbe attraverso il critico d’arte Michel Tapié ai tempi della galleria “Spazio”.
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Oltre ai cancelli della sede ENPDEP e della villa La Saracena, residenza che anticipa le linee sinuose dell’ultima fase morettiana, l’artista realizzò anche una scultura organica per il sopracitato complesso di edifici in Piazzale Flaminio, ultima opera romana dell’architetto.
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Conoscevate questo edificio? Sapevate fosse di Moretti?
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Foto Archidiap #luigimoretti #dannatiarchitetti #architettiitaliani #storiadellarchitettura #romamoderna #architetturamoderna #architetturacontemporanea #archilover #archistudent #roma #archistorie

L’ultimo Moretti, le collaborazioni e l’ex ENPDEP di via Morgagni a Roma👇
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Le sperimentazioni con le superfici curve in cemento armato, spesso sintetizzate nel cilindro irregolare a sbalzo o con elementi plastici dal carattere prettamente strutturalista, sono il leitmotiv della fase finale di Luigi Moretti.
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Pensiamo al coronamento del complesso per uffici di piazzale Flaminio (Roma, 1972), ai morbidi prospetti della palazzina San Maurizio (Roma, 1962), al ponte Pietro Nenni (Roma, 1969-1972), al complesso delle Terme Bonifacio VIII (Fiuggi, 1963-1969), quest’ultimo famoso per l’estrema potenza espressiva e brutalista di alcuni elementi (fra cui il pilastro a fungo all’ingresso e le pensiline aggettanti) …
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Molte di queste opere sono frutto della preziosa collaborazione con Silvano Zorzi, ingegnere capofila, insieme a Riccardo Morandi, della scuola italiana del precompresso. Non fa eccezione la palazzina oggetto di questo post, la sede dell’ENPDEP in via Morgagni a Roma, anch’essa appartenente alle interessanti variazioni sul tema delle strutture complesse in cemento armato.
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Risalente al 1964 e riconoscibile per l’avveniristica soluzione strutturale a sospensione, ossia quattro pilastri in cemento armato aggettanti che sostengono tutti i piani sottostanti, l’edificio spicca anche per la sua particolare cancellata in ferro. Si tratta di un’opera della scultrice americana Claire Falkenstein, collaboratrice artistica di lunga durata di Moretti e che l’architetto conobbe attraverso il critico d’arte Michel Tapié ai tempi della galleria “Spazio”.
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Oltre ai cancelli della sede ENPDEP e della villa La Saracena, residenza che anticipa le linee sinuose dell’ultima fase morettiana, l’artista realizzò anche una scultura organica per il sopracitato complesso di edifici in Piazzale Flaminio, ultima opera romana dell’architetto.
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Conoscevate questo edificio? Sapevate fosse di Moretti?
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L’ultimo Moretti, le collaborazioni e l’ex ENPDEP di via Morgagni a Roma👇
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Le sperimentazioni con le superfici curve in cemento armato, spesso sintetizzate nel cilindro irregolare a sbalzo o con elementi plastici dal carattere prettamente strutturalista, sono il leitmotiv della fase finale di Luigi Moretti.
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Pensiamo al coronamento del complesso per uffici di piazzale Flaminio (Roma, 1972), ai morbidi prospetti della palazzina San Maurizio (Roma, 1962), al ponte Pietro Nenni (Roma, 1969-1972), al complesso delle Terme Bonifacio VIII (Fiuggi, 1963-1969), quest’ultimo famoso per l’estrema potenza espressiva e brutalista di alcuni elementi (fra cui il pilastro a fungo all’ingresso e le pensiline aggettanti) …
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Molte di queste opere sono frutto della preziosa collaborazione con Silvano Zorzi, ingegnere capofila, insieme a Riccardo Morandi, della scuola italiana del precompresso. Non fa eccezione la palazzina oggetto di questo post, la sede dell’ENPDEP in via Morgagni a Roma, anch’essa appartenente alle interessanti variazioni sul tema delle strutture complesse in cemento armato.
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Risalente al 1964 e riconoscibile per l’avveniristica soluzione strutturale a sospensione, ossia quattro pilastri in cemento armato aggettanti che sostengono tutti i piani sottostanti, l’edificio spicca anche per la sua particolare cancellata in ferro. Si tratta di un’opera della scultrice americana Claire Falkenstein, collaboratrice artistica di lunga durata di Moretti e che l’architetto conobbe attraverso il critico d’arte Michel Tapié ai tempi della galleria “Spazio”.
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Oltre ai cancelli della sede ENPDEP e della villa La Saracena, residenza che anticipa le linee sinuose dell’ultima fase morettiana, l’artista realizzò anche una scultura organica per il sopracitato complesso di edifici in Piazzale Flaminio, ultima opera romana dell’architetto.
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Le sperimentazioni con le superfici curve in cemento armato, spesso sintetizzate nel cilindro irregolare a sbalzo o con elementi plastici dal carattere prettamente strutturalista, sono il leitmotiv della fase finale di Luigi Moretti.
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Pensiamo al coronamento del complesso per uffici di piazzale Flaminio (Roma, 1972), ai morbidi prospetti della palazzina San Maurizio (Roma, 1962), al ponte Pietro Nenni (Roma, 1969-1972), al complesso delle Terme Bonifacio VIII (Fiuggi, 1963-1969), quest’ultimo famoso per l’estrema potenza espressiva e brutalista di alcuni elementi (fra cui il pilastro a fungo all’ingresso e le pensiline aggettanti) …
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Molte di queste opere sono frutto della preziosa collaborazione con Silvano Zorzi, ingegnere capofila, insieme a Riccardo Morandi, della scuola italiana del precompresso. Non fa eccezione la palazzina oggetto di questo post, la sede dell’ENPDEP in via Morgagni a Roma, anch’essa appartenente alle interessanti variazioni sul tema delle strutture complesse in cemento armato.
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Risalente al 1964 e riconoscibile per l’avveniristica soluzione strutturale a sospensione, ossia quattro pilastri in cemento armato aggettanti che sostengono tutti i piani sottostanti, l’edificio spicca anche per la sua particolare cancellata in ferro. Si tratta di un’opera della scultrice americana Claire Falkenstein, collaboratrice artistica di lunga durata di Moretti e che l’architetto conobbe attraverso il critico d’arte Michel Tapié ai tempi della galleria “Spazio”.
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Oltre ai cancelli della sede ENPDEP e della villa La Saracena, residenza che anticipa le linee sinuose dell’ultima fase morettiana, l’artista realizzò anche una scultura organica per il sopracitato complesso di edifici in Piazzale Flaminio, ultima opera romana dell’architetto.
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Conoscevate questo edificio? Sapevate fosse di Moretti?
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L’ultimo Moretti, le collaborazioni e l’ex ENPDEP di via Morgagni a Roma👇 . Le sperimentazioni con le superfici curve in cemento armato, spesso sintetizzate nel cilindro irregolare a sbalzo o con elementi plastici dal carattere prettamente strutturalista, sono il leitmotiv della fase finale di Luigi Moretti. . Pensiamo al coronamento del complesso per uffici di piazzale Flaminio (Roma, 1972), ai morbidi prospetti della palazzina San Maurizio (Roma, 1962), al ponte Pietro Nenni (Roma, 1969-1972), al complesso delle Terme Bonifacio VIII (Fiuggi, 1963-1969), quest’ultimo famoso per l’estrema potenza espressiva e brutalista di alcuni elementi (fra cui il pilastro a fungo all’ingresso e le pensiline aggettanti) … . Molte di queste opere sono frutto della preziosa collaborazione con Silvano Zorzi, ingegnere capofila, insieme a Riccardo Morandi, della scuola italiana del precompresso. Non fa eccezione la palazzina oggetto di questo post, la sede dell’ENPDEP in via Morgagni a Roma, anch’essa appartenente alle interessanti variazioni sul tema delle strutture complesse in cemento armato. . Risalente al 1964 e riconoscibile per l’avveniristica soluzione strutturale a sospensione, ossia quattro pilastri in cemento armato aggettanti che sostengono tutti i piani sottostanti, l’edificio spicca anche per la sua particolare cancellata in ferro. Si tratta di un’opera della scultrice americana Claire Falkenstein, collaboratrice artistica di lunga durata di Moretti e che l’architetto conobbe attraverso il critico d’arte Michel Tapié ai tempi della galleria “Spazio”. . Oltre ai cancelli della sede ENPDEP e della villa La Saracena, residenza che anticipa le linee sinuose dell’ultima fase morettiana, l’artista realizzò anche una scultura organica per il sopracitato complesso di edifici in Piazzale Flaminio, ultima opera romana dell’architetto. . Conoscevate questo edificio? Sapevate fosse di Moretti? . . . Foto Archidiap #luigimoretti #dannatiarchitetti #architettiitaliani #storiadellarchitettura #romamoderna #architetturamoderna #architetturacontemporanea #archilover #archistudent #roma #archistorie

1 mese fa

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4/9

Chiese Strane ⛪️🤨 Stranger Churches.
.
San Giovanni Battista alla Creta è un’opera milanese di Giovanni Muzio e risale al 1956/1958. Si trova nell’omonima piazza, verde e quadrata, che un tempo era il centro del nuovo quartiere popolare di Inganni, ancora in espansione. Il complesso, che comprende anche un oratorio e un giardino, si erge presso quella che una volta era conosciuta come la località Cascina Creta (da qui il nome), più precisamente su un terreno donato dalla vedova dell’industriale Cabassi (famiglia che, tra l’altro, riposa in una cappella interna).
.
San Giovanni Battista alla Creta rientra a pieno titolo tra le chiese moderne più particolari della città di Milano per il suo evidente legame con la tradizione romanica lombarda e per la riconoscibilissima struttura.
.
La pianta longitudinale è a navata unica, la larghezza crescente … un po’ come il resto del corpo della chiesa, fortemente dinamico (basti pensare all’ardita mensola d’ingresso protesa verso la piazza). La facciata è rivestita in mattoni a vista, in parte posati obliquamente, a disegnare motivi geometrici.
.
Interessanti il pulpito esterno e il progressivo incremento della luminosità verso il presbiterio, dovuto alla particolare forma della navata e al soffitto “spezzato” con vele ornate da decorazioni pittoriche.
.
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#dannatiarchitetti #giovannimuzio #sangiovannibattistaallacreta #milano #milanodascoprire #chiesedimilano #chiese_e_dintorni #chieseditalia #romanicolombardo #architettimilano #archilovers #chiesestrane #archistudent #architettiitaliani #lombardia

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Chiese Strane ⛪️🤨 Stranger Churches. . San Giovanni Battista alla Creta è un’opera milanese di Giovanni Muzio e risale al 1956/1958. Si trova nell’omonima piazza, verde e quadrata, che un tempo era il centro del nuovo quartiere popolare di Inganni, ancora in espansione. Il complesso, che comprende anche un oratorio e un giardino, si erge presso quella che una volta era conosciuta come la località Cascina Creta (da qui il nome), più precisamente su un terreno donato dalla vedova dell’industriale Cabassi (famiglia che, tra l’altro, riposa in una cappella interna). . San Giovanni Battista alla Creta rientra a pieno titolo tra le chiese moderne più particolari della città di Milano per il suo evidente legame con la tradizione romanica lombarda e per la riconoscibilissima struttura. . La pianta longitudinale è a navata unica, la larghezza crescente … un po’ come il resto del corpo della chiesa, fortemente dinamico (basti pensare all’ardita mensola d’ingresso protesa verso la piazza). La facciata è rivestita in mattoni a vista, in parte posati obliquamente, a disegnare motivi geometrici. . Interessanti il pulpito esterno e il progressivo incremento della luminosità verso il presbiterio, dovuto alla particolare forma della navata e al soffitto “spezzato” con vele ornate da decorazioni pittoriche. . . . #dannatiarchitetti #giovannimuzio #sangiovannibattistaallacreta #milano #milanodascoprire #chiesedimilano #chiese_e_dintorni #chieseditalia #romanicolombardo #architettimilano #archilovers #chiesestrane #archistudent #architettiitaliani #lombardia

1 mese fa

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5/9

Nel carosello dedicato agli stabilimenti balneari non avevo inizialmente citato l'iconico Lido La Conchiglia, costruito da Filippo Trobia verso la fine degli anni Cinquanta a Gela. Ho colto l’occasione per parlarne, invece, nell’articolo uscito oggi su Living, in cui ripercorro più nel dettaglio la storia dell’architettura balneare citando esempi significativi sia in Italia che all’estero.
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Questo stabilimento era noto soprattutto per gli eventi mondani a cui partecipavano regolarmente personaggi del mondo dello spettacolo, della musica e della politica. La struttura in cemento armato su palafitte ospitava una grande sala vetrata con soffitto a pois colorati e possedeva un tetto a forma di conchiglia. Ai lati del salone circolare, come braccia aperte, due pontili sinuosi erano fiancheggiati dalle cabine per i bagnanti. Un’opera degna della fantasia anni Sessanta.
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❓Conoscevate La Conchiglia 🐚 di Gela? La sua storia continua su Living 👉 link all’articolo nelle stories e in bio.
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#conchiglia #gela #sicilia #stabilimentibalneari #storiaitaliana #bellezzealbagno #maremaremare #beachclub #lido #sottoquestosole #architettiitaliani #archilover #saporedisale #vacanzeitaliane

Nel carosello dedicato agli stabilimenti balneari non avevo inizialmente citato l'iconico Lido La Conchiglia, costruito da Filippo Trobia verso la fine degli anni Cinquanta a Gela. Ho colto l’occasione per parlarne, invece, nell’articolo uscito oggi su Living, in cui ripercorro più nel dettaglio la storia dell’architettura balneare citando esempi significativi sia in Italia che all’estero.
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Questo stabilimento era noto soprattutto per gli eventi mondani a cui partecipavano regolarmente personaggi del mondo dello spettacolo, della musica e della politica. La struttura in cemento armato su palafitte ospitava una grande sala vetrata con soffitto a pois colorati e possedeva un tetto a forma di conchiglia. Ai lati del salone circolare, come braccia aperte, due pontili sinuosi erano fiancheggiati dalle cabine per i bagnanti. Un’opera degna della fantasia anni Sessanta.
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❓Conoscevate La Conchiglia 🐚 di Gela? La sua storia continua su Living 👉 link all’articolo nelle stories e in bio.
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#conchiglia #gela #sicilia #stabilimentibalneari #storiaitaliana #bellezzealbagno #maremaremare #beachclub #lido #sottoquestosole #architettiitaliani #archilover #saporedisale #vacanzeitaliane

Nel carosello dedicato agli stabilimenti balneari non avevo inizialmente citato l'iconico Lido La Conchiglia, costruito da Filippo Trobia verso la fine degli anni Cinquanta a Gela. Ho colto l’occasione per parlarne, invece, nell’articolo uscito oggi su Living, in cui ripercorro più nel dettaglio la storia dell’architettura balneare citando esempi significativi sia in Italia che all’estero.
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Questo stabilimento era noto soprattutto per gli eventi mondani a cui partecipavano regolarmente personaggi del mondo dello spettacolo, della musica e della politica. La struttura in cemento armato su palafitte ospitava una grande sala vetrata con soffitto a pois colorati e possedeva un tetto a forma di conchiglia. Ai lati del salone circolare, come braccia aperte, due pontili sinuosi erano fiancheggiati dalle cabine per i bagnanti. Un’opera degna della fantasia anni Sessanta.
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Nel carosello dedicato agli stabilimenti balneari non avevo inizialmente citato l'iconico Lido La Conchiglia, costruito da Filippo Trobia verso la fine degli anni Cinquanta a Gela. Ho colto l’occasione per parlarne, invece, nell’articolo uscito oggi su Living, in cui ripercorro più nel dettaglio la storia dell’architettura balneare citando esempi significativi sia in Italia che all’estero. . Questo stabilimento era noto soprattutto per gli eventi mondani a cui partecipavano regolarmente personaggi del mondo dello spettacolo, della musica e della politica. La struttura in cemento armato su palafitte ospitava una grande sala vetrata con soffitto a pois colorati e possedeva un tetto a forma di conchiglia. Ai lati del salone circolare, come braccia aperte, due pontili sinuosi erano fiancheggiati dalle cabine per i bagnanti. Un’opera degna della fantasia anni Sessanta. . ❓Conoscevate La Conchiglia 🐚 di Gela? La sua storia continua su Living 👉 link all’articolo nelle stories e in bio. . #conchiglia #gela #sicilia #stabilimentibalneari #storiaitaliana #bellezzealbagno #maremaremare #beachclub #lido #sottoquestosole #architettiitaliani #archilover #saporedisale #vacanzeitaliane

1 mese fa

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6/9

Alla @libreriarinascita di Ascoli Piceno, uno dei miei luoghi del cuore, vi aspettano due copie firmate di Instant Architettura Contemporanea!! 📖📖 Che emozione vederle esposte nella sezione dedicata all’architettura, uno degli angoli della libreria che torno regolarmente a visitare e che durante gli anni universitari è stato per me una grandissima risorsa.
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Girovagare tra gli scaffali, scegliere il proprio volume dopo averlo sfogliato e “pregustato” in libreria, per me non ha prezzo! 💙
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#instantarchitetturacontemporanea #gribaudo #dannatiarchitetti #ascolipiceno #libridaleggere #libreriebelle #archistudent #architettiitaliani #architettiascoli #ascolipicenocittaditravertino #storiadellarchitettura

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Alla @libreriarinascita di Ascoli Piceno, uno dei miei luoghi del cuore, vi aspettano due copie firmate di Instant Architettura Contemporanea!! 📖📖 Che emozione vederle esposte nella sezione dedicata all’architettura, uno degli angoli della libreria che torno regolarmente a visitare e che durante gli anni universitari è stato per me una grandissima risorsa. . Girovagare tra gli scaffali, scegliere il proprio volume dopo averlo sfogliato e “pregustato” in libreria, per me non ha prezzo! 💙 . #instantarchitetturacontemporanea #gribaudo #dannatiarchitetti #ascolipiceno #libridaleggere #libreriebelle #archistudent #architettiitaliani #architettiascoli #ascolipicenocittaditravertino #storiadellarchitettura

1 mese fa

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7/9

Oggi 21 giugno 2022 entra l’estate, compio 36 anni 😐 e per l’occasione vi racconto la storia dell’architettura balneare 🌊🏖
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I primi stabilimenti - destinati esclusivamente a dame e nobili - iniziarono a comparire in Italia intorno agli anni Venti dell'800. In particolare a Viareggio. Da queste prime strutture realizzate interamente in legno sul modello del pontile su palafitta, si passò alle architetture Liberty. Fra queste spicca fra tutti lo stabilimento di Mondello, noto ai più come Charleston (l'omonimo ristorante). Durante il Ventennio il turismo balneare incrementò ulteriormente e lo stesso regime contribuì alla costruzione di nuove colonie marine; risalgono al periodo l'eclettico Stabilimento Roma ad Ostia (1922), detto il "panettone", e la Rotonda a Mare di Senigallia (1933), a cui Fred Buongusto dedicò la sua famosissima canzone. Sono tutte opere cementizie su palafitta, poste su piattaforme collegate alla spiaggia da lunghi pontili. Saranno tuttavia gli anni 50 e 60, quelli del boom, dell'agosto italiano e del bikini, a far decollare il fenomeno del turismo balneare. Fra gli stabilimenti più iconici del periodo ricordiamo il Kursaal di Ostia (1950) di Attilio Lapadula e Pier Luigi Nervi, la Conghiglia di Gela, il grande complesso dei Lidi di Mortelle e il Lido di Spina di Comacchio dove una bizzarra seggiovia collegava il campeggio alla spiaggia. Infine giungiamo al XXI secolo con il Blue Moon di Giancarlo De Carlo al Lido di Venezia, stabilimento le cui strutture in acciaio aeree e scale ad elica si librano verso il cielo.
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🔎 La storia completa è su Living Corriere. Trovi il link all’articolo nella mia bio 👉 @dannatiarchitettipodcast

Oggi 21 giugno 2022 entra l’estate, compio 36 anni 😐 e per l’occasione vi racconto la storia dell’architettura balneare 🌊🏖
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2 mesi fa

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8/9

📘 Instant Architettura Contemporanea è finalmente in libreria!! 🥳 In questo libro, edito da Gribaudo ed illustrato da Giulia Renzi, ripercorro la storia dell’architettura dalla rivoluzione industriale alla contemporaneità. Un viaggio entusiasmante alla scoperta di stili, personalità influenti, significati e simboli; un testo adatto a tutti e dedicato alla storia di un’arte che, a differenza di altre, interessa ogni istante della nostra quotidianità!
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ℹ️ link in bio - www.mariachiaravirgili.com/libri
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#architettura #storiadellarchitettura #architettiitaliani #dannatiarchitetti #libridaleggere #archistar #archilovers #archistudent #libriconsigliati #archibooks #architetturaitaliana #storia #architetti

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